La tutela dell’ambiente
Il dibattito sulla questione ambientale, nato tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso con la formazione delle prime Associazioni ambientaliste, ebbe come nodo centrale il rapporto tra economia e ambiente, nella sempre più evidente necessità di preservare la qualità del patrimonio naturale e nella consapevolezza che, essendo le risorse del pianeta tendenzialmente esauribili, dovessero essere rivisti ed equilibrati i modelli di sviluppo.
La Conferenza di Stoccolma nel 1972 è stata la prima che, su scala mondiale, ha toccato i temi ambientali e ha adottato una dichiarazione all’interno della quale la tutela dell’ambiente diveniva parte integrante dello sviluppo, uno sviluppo compatibile con le esigenze di salvaguardia delle risorse. La percezione del Pianeta quale sistema chiuso, nel quale ogni risorsa naturale trova i suoi limiti nella disponibilità e nella capacità di assorbimento dell’ecosistema, in altre parole la coscienza dei limiti dello sviluppo, aprì in quegli anni la strada ad un dibattito profondo e ad una crescente attenzione da parte della comunità scientifica e della società civile.
I concetti di sviluppo sostenibile e di sostenibilità vengono spiegati per la prima volta, nel Rapporto Our Common Future (1987) della World Commission on Environment and Development (Commissione Bruntland), che gli diede la sua interpretazione più nota, ovvero lo sviluppo che “garantisce i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri”.
Il concetto di questo modello di sviluppo, compatibile con le esigenze di tutela e salvaguardia delle risorse e capitale dell’umanità, ripropone una visione del mondo nella quale il fine ultimo è rappresentato dal raggiungimento di una migliore qualità della vita, dalla diffusione di una prosperità crescente ed equa, dal conseguimento di un livello ambientale non dannoso per l’uomo e per le altre specie viventi e nel quale sia possibile una più equa accessibilità alle risorse. Nascono proprio in quegli anni i presupposti dell’economia ecologica e dell’economia ambientale, come nuovo campo di studi ove rileggere e valutare le interrelazioni tra ambiente ed economia. L’economia ambientale avvia, più specificamente, l’approfondimento di alcune tematiche di particolare rilievo nella definizione e nella comprensione delle relazioni tra salvaguardia ambientale, perseguimento dell’efficienza economica e fallimenti di mercato, come nel caso delle esternalità ambientali e del livello ottimo di inquinamento.
Affronta, inoltre, il problema della valutazione economica delle risorse ambientali, degli strumenti di politica economica e fiscale per il controllo delle esternalità e dei problemi ambientali (imposte ambientali).
Altro momento fondamentale per lo sviluppo sostenibile è rappresentato dalla Conferenza delle Nazioni Unite tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992 che, nella sua Dichiarazione, sancisce i 27 Principi su ambiente e sviluppo, i Principi delle foreste e l’Agenda 21, ancora oggi vivi ed attuali. Lo sviluppo sostenibile assume quindi le caratteristiche di concetto integrato, che unisce le tre dimensioni fondamentali e inscindibili di Ambiente, Economia e Società, dato che risulta evidente come l’azione ambientale da sola non possa esaurire la sfida: ogni piano o politica di intervento, infatti, deve rispondere ad una visione integrata e definire sia impatti economici che sociali ed ambientali. Il progresso tecnologico sostenibile si pone allora quale strumento per raggiungere l’obiettivo di un uso prudente delle risorse naturali diminuendo il consumo di quelle non rinnovabili, della limitazione dei rifiuti prodotti e della sostituzione del capitale naturale (territorio, risorse materiali, specie viventi) con capitale costruito (risorse naturali trasformate).
Altri eventi salienti riguardanti lo sviluppo sostenibile si sono verificati negli anni che seguirono la Conferenza di Rio, e tra questi si ricordano:
- Nel 1997, il Protocollo di Kyoto sui cambiamenti climatici;
- Nel 1998 la Convenzione di Aarhus sui diritti all’informazione e alla partecipazione ai processi decisionali;
- Nel 2000 la Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite sui valori sui quali fondare i rapporti internazionali del terzo millennio;
- Nel 2000, a Montreal, il Protocollo sulla biosicurezza;
- Nel 2001, a Stoccolma, la Convenzione sulle sostanze inquinanti non degradabili;
- Nel 2002, a Monterrey, la Conferenza sui finanziamenti per lo sviluppo;
- Nel 2007 la Conferenza di Bali sui cambiamenti climatici
- Nel 2009 la Conferenza di Copenaghen sui cambiamenti climatici e la diminuzione di emissioni di anidride carbonica
- Nel 2015 la Conferenza di Parigi, primo accordo universale sul clima mondiale;
- Nel 2016 la Conferenza di Marrakech sulle modalità di applicazione dell’accordo siglato a Parigi.
A partire quindi dagli anni ’80, molti Stati hanno iniziato ad emanare leggi che avessero lo scopo di tutelare l’ambiente.
La Costituzione italiana, come altre costituzioni europee nate nel dopoguerra, non presenta espliciti riferimenti all’ambiente per il semplice motivo che in quel periodo c’era una sensibilità e una conoscenza diversa rispetto ad oggi. Non si può quindi di certo colpevolizzare i padri costituenti per questa mancanza, ma piuttosto l’incapacità dell’ordinamento giuridico negli anni a venire di riuscire a completare una riforma sistematica dell’impianto costituzionale, con cui riuscire a dedicare all’ambiente quel valore che si è dimostrato sempre più urgente e necessario.
Dottrina e giurisprudenza, attraverso un’interpretazione forzata dell’articolo 9 Cost., il cui comma secondo individua la << tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione>> tra i compiti della Repubblica, hanno ricompreso nella nozione di paesaggio ogni preesistenza naturale, l’intero territorio, la flora e la fauna.
L’art. 32 Cost, invece, che affida alla Repubblica la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e della collettività, è stato interpretato a partire dagli anni Settanta sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, come anche il diritto della collettività al mantenimento di una salubrità ambientale tale da garantire l’integrità fisica e la vita degli individui.
Oggi però, dato che ci troviamo di fronte a sfide, sia ambientali che sociali, che i padri costituenti non potevano prevedere e di cui molti non hanno ancora piena consapevolezza, applicando modelli di produzione e di consumo che richiedono un utilizzo di risorse e territorio inimmaginabili solo venticinque anni fa, occorre che nella Costituzione venga introdotto il concetto di sviluppo sostenibile. Questo rafforzerebbe tutta la produzione normativa successiva, che dovrebbe ispirarsi al dettato costituzionale, e obbligherebbe il legislatore a non poter più prescindere dalla sostenibilità, impedendogli di ricercare soluzioni e consenso elettorale con interventi ad impatto positivo immediato, ma con ricadute negative nel medio-lungo periodo.
Per capire realmente la situazione dell’inquinamento ambientale causata dall’uomo, basta analizzare i dati durante il primo lockdown dovuto all’emergenza covid-19. E’ vero che l’indice delle polveri sottili (PM 10 e 2,5) si sono abbassati in molte città del mondo, ma i livelli di anidride carbonica (CO2) presenti nell’atmosfera si sono comunque alzati. Il picco è stato toccato il 3 maggio 2020, anticipando quello che sarà un trend annuale in continuo aumento. Lo ha rivelato un rapporto pubblicato dagli scienziati del servizio metereologico nazionale inglese.
L’analisi ha evidenziato che i livelli di CO2 nell’atmosfera stanno continuando ad aumentare velocemente, sottolineando che i drammatici cambiamenti nelle nostre abitudini non hanno portato a un rallentamento consistente di questa crescita. Per fermare il riscaldamento del pianeta, spiegano gli scienziati, servono misure più ambiziose. Il calo temporaneo di emissioni durante i lockdown che sono stati avviati in molti paesi del mondo non è abbastanza per cancellare decine di anni di danni inflitti alla salute del nostro pianeta. La CO2 sta aumentando in risposta a quello che abbiamo emesso negli ultimi 100 anni e non a quello che stiamo emettendo ora.
Per appiattire la curva di crescita bisognerebbe ridurre le emissioni del 50 percento in maniera permanente ed eliminarle entro il 2050 per evitare gli scenari peggiori.